I cachi arrivano da buoni ultimi (nel vero senso della parola) a novembre, quando il resto del frutteto non ha ormai più nulla da offrire e il termometro è già sceso sotto lo zero. Solo i tondi pomi arancio addobbano i rami nudi degli alberi come ghirlande prenatalizie.
Con i deliziosi Diospyros kaki di coltivazione svizzera, morbidi e dolcissimi, mi sono cimentata nella tecnica del hoshigaki, l'arte nipponica di essiccare i cachi che mi ha affascinata sin dal mio primo viaggio in Giappone. Lì i frutti essiccati vengono poi confezionati con cura e venduti come specialità dolce. Si procede così: i cachi appena maturi e ancora sodi (è fondamentale che non siano molli!) vengono pelati, scottati in acqua bollente e lasciati a seccare all'aria, appesi a uno spago, per 6 settimane.
A partire dalla seconda settimana i frutti, già un po' avvizziti, vengono massaggiati ogni giorno con delicatezza, come si fa con un manzo wagyu o con un neonato, per distribuire lo zucchero al loro interno e ottenere la consistenza desiderata. Trascorso un certo periodo lo zucchero affiora in superficie dando vita a una patina bianca polverosa che ricorda la brina: a questo punto i cachi sono pronti per essere tagliati a fettine e gustati.
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